Cosa c’è negli alimenti che consumiamo? Sofisticazioni e adulterazioni, fast food e take away, intolleranze e allergie, anoressia e obesità. Il modello di Dieta Mediterranea è stato messo a dura prova dalle trasformazioni, industriali e sociali, avvenute negli ultimi cinquant’anni in Italia, che hanno determinato radicali cambiamenti nelle abitudini al consumo alimentare.

martedì 9 gennaio 2018

Preparazioni e prodotti a base di carne, carni refrigerate: quali rischi?


La carne è sicuramente un alimento molto amato dalla popolazione italiana e viene consumata e cucinata in diversi modi. Sul mercato infatti è possibile trovare oltre ai vari tagli di carne fresca, diverse preparazioni e prodotti a base di carne che permettono di portare sulla tavola degli alimenti dalla variegata palatabilità. Le carni sono classificate in base al taglio, alla specie animale, al colore e alla digeribilità (in funzione dell’età, frollatura, freschezza, etc). Queste vengono distinte in base al colore in carne rossa, ad alta concentrazione di mioglobina e tipica di animali da macello adulti, bianca o rosea, a bassa concentrazione di mioglobina in animali giovani da macello (vitello, agnello, suini) e da cortile (polli, oche, tacchini), ed infine la carne nera o scura (selvaggina). Le preparazioni a base di carne sono una categoria di alimenti rappresentata da carni fresche, sia tagli interi che frammentati, alle quali vengono aggiunti condimenti e additivi e subiscono dei trattamenti tali che non vanno ad alterare la struttura muscolo-fibrosa della carne stessa. Di conseguenza questi alimenti da un punto di vista nutrizionale presentano le stesse caratteristiche delle carni fresche ma bisogna tener conto dei vari condimenti e additivi che vengono addizionati. Dato l’elevato numero di alimenti che rientrano in questa categoria, è difficile fare delle generalizzazioni e per comprenderne le caratteristiche nutrizionali, bisogna analizzarli singolarmente. Sono preparazioni a base di carne ad esempio gli spiedini, la salsiccia fresca o la carne per arrosto. La salsiccia ad esempio, molto consumata anche dai bambini, come tutte le carni fresche è un’ottima fonte di proteine ad alto valore biologico, di ferro e di vitamine come la B1 e la PP. In compenso però, oltre ad essere un alimento molto calorico, è ricco di colesterolo e acidi grassi saturi. Un eccesso di colesterolo e acidi grassi saturi nella dieta è noto per predisporre allo sviluppo di patologie metaboliche e cardiovascolari, oltre a favorire un aumento del peso ponderale. Questo alimento inoltre è molto ricco di sodio, infatti 100g di salsiccia contengono quasi il doppio del fabbisogno minimo giornaliero. Un eccessivo consumo di sodio è associato ad un innalzamento della pressione sanguigna e di conseguenza può portare a problematiche cardiovascolari. Quanto detto spiega perché questa preparazione a base di carne non debba essere consumata quotidianamente e ne vada limitato l’utilizzo a momenti sporadici all’interno di un regime dietetico sano al fine di controllare e prevenire tali patologie.

I prodotti a base di carne derivano invece dalla trasformazione della carne o dall’ulteriore trasformazione di questi prodotti trasformati. I prodotti a base di carne, differentemente dai preparati, hanno perso quindi le caratteristiche nutrizionali delle carni fresche. Esempi sono le farciture per la pasta e prodotti di salumeria cotti. Spesso in molti di questi prodotti appartenenti alla nostra tradizione, come per esempio i tortellini, si possono riscontrare delle sorprese, in particolare nel ripieno, spesso preparato con ingredienti di scarsa qualità e molto economici (es. fiocchi di patate, patate, e altri simili). Ma il problema legato ai prodotti e ai preparati a base di carne non risiede solo nella scelta delle materie prime ma anche nei metodi e nelle tecnologie che l’azienda sceglie di utilizzare per allungare la vita dei prodotti da essa commercializzati. Difatti, risulta fondamentale conoscere gli ingredienti e i trattamenti che le carni in questione subiscono fino alle nostre tavole. L’uso di carni, soprattutto salate, affumicate e trasformate ha radici antiche: già all’epoca dei Romani si aveva l’abitudine di insaccare la carne utilizzando il sale e altri prodotti naturali con la funzione di conservanti. Esistono diversi metodi di conservazione tradizionali: l’uso delle basse temperature (es. congelamento, refrigerazione, etc), affumicamento, essiccamento e salagione. I meccanismi che compromettono la durabilità della carne cruda sono: la proliferazione di microrganismi (batteri, muffe e lieviti), l’ossidazione della carne e la putrefazione, processo di disintegrazione delle sostanze proteiche con conseguente alterazione della consistenza, colore e sapore. Per evitare questo la carne appena abbattuta subisce un processo di frollatura, ovvero maturazione controllata a basse temperature (0 - 4°C) di durata variabile, che conferisce un aumento della tenerezza della carne in funzione della scomposizione di fibre di collagene per mezzo di enzimi proteolitici. Una volta terminato questo periodo di maturazione la carne passa alle successive fasi di trasformazione o direttamente, nel caso della carne fresca, di confezionamento. Uno dei metodi più usati per conservare per brevi periodi le carni è la refrigerazione, che consente il rallentamento dell’attività microbica e dei processi alterativi. Questo metodo è quello che utilizziamo giornalmente nelle nostre case e consiste nel riporre la carne in frigoriferi che raggiungano una temperatura di minimo +4°C. La carne refrigerata mantiene perlopiù inalterate le proprietà nutrizionali delle carni fresche. Per le carni rosse la temperatura di refrigerazione non deve superare i 7°C, mentre per le carni bianche non deve essere superiore a 4°C. 
Con l’evoluzione delle tecnologie e delle conoscenze in relazione ai rischi derivanti dal consumo di carni mal conservate, si aggiunse, ai metodi sopracitati, l’uso combinato di additivi, in grado di rendere il prodotto più appetibile da un punto di vista prettamente commerciale (azione antiossidante es. colore rosso vivo delle carni) e sicuro da un punto di vista igienico sanitario (azione antimicrobica). In particolare, i nitriti e nitrati (codici E249, E250, E251, E252) sono aggiunti negli alimenti, specialmente in salumi e insaccati, al fine di garantire: i controllo delle contaminazioni e proliferazioni batteriche (soprattutto Clostridium botulinum); il mantenimento del colore rosso delle carni e il miglioramento dell’aroma mediante azione selettiva di microrganismi che determinano la stagionatura del salume. Purtroppo, ancora non si conoscono additivi sostitutivi in grado di esplicare tutte queste funzioni contemporaneamente garantendo sicurezza e vantaggio economico al produttore che, di conseguenza, avrà un prodotto ottimale anche dopo mesi. Le preoccupazioni in merito all’uso di nitriti riguardano la loro capacità di formare un composto di elevata tossicità, le nitrosammine, alcune delle quali cancerogene. Il problema di questi composti però non è legato solo alle carni ma anche ad altri gruppi di alimenti, tra cui alcuni vegetali in cui si è riscontrata la loro presenza (bietola, sedano, spinaci, etc). Pertanto esiste un elenco di additivi autorizzati (Reg CE 1129/2011 modifica dell’Allegato II del Reg. CE 1333/2008). nel quale sono indicati i codici corrispondenti e i loro limiti di utilizzo. Quindi queste sostanza oltre che essere dichiarate in etichetta, bisognerebbe che fossero sempre tenute sotto controllo e riesaminate alla luce di nuove informazioni scientifiche.

Ove non è possibile agire con gli additivi, come nel caso delle carni fresche refrigerate, le industrie si avvalgono di altri mezzi chimici, fisici e biologici per bloccare l’azione degenerativa dei batteri e mantenere le caratteristiche organolettiche intatte dei loro prodotti. Attualmente si conoscono molti sistemi di confezionamento in grado di rispondere a queste esigenze, ad esempio il confezionamento in atmosfera protettiva, sottovuoto, in skin o l’active packaging. L’uso di atmosfera protettiva (ATP), o modificata, consiste nell’immissione nella confezione di gas normalmente presenti nell’aria (azoto, ossigeno, anidride carbonica) ma a concentrazioni diverse. È proprio grazie a questa composizione che si ha l’inibizione della crescita di alcuni batteri, il mantenimento delle caratteristiche organolettiche e, di conseguenza, l’aumento della durata del prodotto, detta anche shelf life (“vita di scaffale”). Un altro metodo di confezionamento è il sottovuoto che spesso si utilizza per i tagli anatomici, in quanto questo metodo tende a deformare i prodotti più delicati. Questa tecnologia agisce sull’eliminazione dell’aria dalla confezione, fattore indispensabile per lo sviluppo di gran parte dei microrganismi. Invece, nel confezionamento in skin il prodotto viene posto nelle vaschette come nel caso della conservazione in ATP, ma il film che chiude la confezione viene fatto aderire al prodotto utilizzando il sottovuoto, così da diventare una seconda pelle (“skin”). Infine, all’interno di queste confezioni possono essere applicati dei dispositivi (active packaging) che interagiscono attivamente con l’atmosfera della confezione, ad esempio riducendo l’ossigeno o assorbendo l’umidità. Quest’ultimi spesso si presentano come dei tappetini di polimeri (pad) assorbenti che garantiscono un’ottima presentazione del prodotto, il passaggio dell’aria attraverso microfori, l’eliminazione dell’umidità in eccesso, legata anche ai liquidi di essudazione della carne, e, in alcuni tipi di carne, l’assorbimento di odori sgradevoli. Esistono anche dei veri e propri indicatori, da posizionare dentro o sulla confezione, che registrano variazioni importanti ai fini di una buona conservazione degli alimenti (ad esempio la temperatura) segnalando inequivocabilmente l’abuso al consumatore mediante variazioni di colore.

Oggetto di forti discussioni è sicuramente la possibile presenza di residui di trattamenti veterinari, di farmaci e di antibiotici nelle carni che consumiamo, con l’eventualità che possano continuare la loro azione nel nostro organismo. Il problema è legato a un insieme di fattori che agiscono a cascata. Per prima cosa bisogna considerare che la maggior parte della carne da noi consumata proviene da allevamenti intensivi, ovvero caratterizzati da spazi ridotti per il ricovero di un numero elevato di capi e da un’alimentazione basata su mangimi composti con l’obiettivo finale di massimizzare i rendimenti. In questi allevamenti sono utilizzati antibiotici e farmaci a scopo curativo data l’elevata diffusione di malattie a causa del sovraffollamento degli animali. L’uso di farmaci a scopo preventivo oggi è assolutamente vietato, spesso utilizzati anche per aumentare le prestazioni produttive degli animali. Negli ultimi anni questa pratica è stata fortemente contrastata da continui controlli e limitazioni all’uso di antibiotici solo a fini terapeutici mirati, rispettando i tempi di sospensione, ossia il tempo utile di sospensione del trattamento affinché venga smaltito completamente dall’animale prima della macellazione. In questo modo si garantisce l’assenza di residui di farmaci veterinari nella carne e la riduzione del fenomeno di antibiotico-resistenza, ovvero la resistenza di un batterio all’attività di un farmaco antibiotico a cui è stato precedentemente esposto.

La carne negli ultimi anni è protagonista indiscussa di frodi commerciali (presenza di carne di cavallo non dichiarata in pasta fresca ripiena, lasagne e altri preparati, anno 2013), di problematiche relative a contaminazione batterica (Listeria monocytogenes in coppa di testa nel 2016; Salmonella in petto di tacchino congelato proveniente dall’Ungheria e Escherichia coli in manzo congelato dell’Uruguay, anno 2017), alla presenza di residui di antibiotici e di trattamenti veterinari (Fipronil in carne di pollo, 2017) e, di recente, anche di metalli pesanti, come il Cadmio (Cd) nella carne di cavallo refrigerata proveniente dalla Romania.



Beatrice Mammarella
Master in “Sicurezza, certificazione e comunicazione alimentare” 8^ ed.

Paola Laghetti
Master in “Alimentazione e nutrizione umana” 19^ ed.

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