Quotidianamente, per la preparazione di impasti lievitati, come pane, pizze, focacce ma anche prodotti dolciari, si ricorre all’uso di agenti lievitanti. Come è noto, al momento dell’acquisto, sugli scaffali ci si imbatte in tipologie di lieviti molto diverse fra loro e per questo destinate ad utilizzi differenti. Spesso si sa bene che tipo di agente lievitante acquistare per uno specifico utilizzo; ma questa scelta non sempre è consapevole. Che differenze ci sono tra un panetto di lievito e una bustina di agente lievitante in polvere? Cosa contiene ciascuno di questi prodotti?
Innanzitutto, esiste una netta distinzione tra lievito biologico e lievito chimico. La finalità è, in entrambi i casi, quella di consentire all’impasto un aumento di volume: questo avviene grazie alla liberazione di anidride carbonica che viene intrappolata nelle maglie create dal glutine. Il glutine è una proteina presente nel grano che, durante l'impastamento della farina con l'acqua, assume nello spazio una forma particolare, una rete che trattiene l’anidride carbonica e permette all’impasto di sollevarsi, quindi di lievitare. La differenza tra le due tipologie di lievito è data proprio dalla modalità con cui l’anidride carbonica viene prodotta. Il lievito biologico è costituito da miliardi di cellule vive del lievito Saccharomyces cerevisiae, è anche noto come “lievito di birra” perché utilizzato fin dall’antichità per la produzione della birra, oltre che per la produzione del vino e per la panificazione. Si tratta di un organismo unicellulare appartenente al regno dei funghi che fermenta gli zuccheri presenti nell’impasto rilasciando anidride carbonica e alcol etilico; quest’ultimo evapora nella fase di cottura. Il lievito biologico è disponibile in più forme: panetti, scaglie, capsule o compresse. Per la sua produzione si utilizzano grandi contenitori, noti come biofermentatori, dove i microrganismi sono mantenuti in vita e fatti riprodurre, monitorando parametri fondamentali per una crescita ottimale, tra questi la fonte energetica (generalmente melassa di barbabietola), la temperatura, la quantità di ossigeno e altri fattori. Successivamente si recupera la biomassa ottenuta e si compatta ottenendo i comuni panetti disponibili in commercio. I panetti così ottenuti non sono altro che cellule vive di lievito che operano una fermentazione biologica rilasciando CO₂ responsabile della lievitazione; hanno pertanto una breve data di scadenza e vanno conservati in frigorifero a temperature tra 0 e 10 ⁰C. Dal punto di vista nutrizionale il lievito di birra è composto da circa il 45-60% di proteine con una buona quantità di amminoacidi essenziali (leucina, valina, isoleucina, fenilalanina…), 30% di fibre, 9% di carboidrati, 4-7% di lipidi e 6-9% di minerali. Fibre e carboidrati sono principalmente rappresentati da polisaccaridi, in particolare β-glucani che hanno un’interessante azione stimolante sul sistema immunitario. Il lievito di birra è inoltre molto ricco di vitamine del gruppo B (B1, B2, B3, B5, B6 e folati) alle quali si aggiungono oligoelementi come selenio e cromo; per tali ragioni trova largo impiego anche nell’ambito dell’integrazione alimentare ed è dunque commercializzato sottoforma di capsule e compresse.
Il lievito fresco può anche essere liofilizzato ed essere venduto come lievito secco. Al momento dell’uso va rinvigorito, stemperandolo in acqua tiepida, meglio se zuccherata. In quanto tale, si conserva più a lungo e a temperatura ambiente. Appartiene ai lieviti biologici anche il lievito naturale detto lievito madre o pasta acida. Questo si ottiene creando un impasto di farina e acqua che viene contaminato spontaneamente da microrganismi presenti nella farina, nell’acqua e nell’ambiente e viene periodicamente rinfrescato aggiungendo altra farina e acqua in modo da tenere in vita i microrganismi che ospita.
La microflora autoctona che colonizza l’impasto non è costituita esclusivamente da Saccharomyces cerevisiae; a differenza del lievito di birra, nella pasta acida, infatti, convivono varie specie di lievito e batteri lattici del genere Lactobacillus. Per tale motivo si verifica una fermentazione alcolica operata dai lieviti e una fermentazione lattica operata dai batteri lattici che, metabolizzando gli zuccheri, producono prevalentemente acido lattico. La variazione del pH che avviene all’interno dell’impasto durante la lievitazione permette ai minerali custoditi nella farina di essere liberati divenendo così più facilmente assorbibili dall’organismo. Inoltre, i batteri lattici presenti nel lievito madre sono responsabili di reazione proteolitiche, ovvero di predigestione delle proteine, molto più intense di quelle operate dalla fermentazione alcolica; questo determina una maggiore digeribilità dei prodotti lievitati non causando fastidiosi gonfiori addominali, arricchisce gli alimenti di batteri lattici utili, conferisce un indice glicemico minore (anche utilizzando farine non integrali) oltre a permettere maggiori tempi di conservazione e donare una fragranza, un sapore e un aroma caratteristico. Tuttavia, la lievitazione ottenuta con pasta acida è un processo non facile da eseguire, lento, poco standardizzabile e che richiede tempo; viene perciò considerata un’arte legata alla panificazione casareccia.
Questo lievito è utilizzato oltre che nei prodotti da forno (pane, pizza, taralli, etc.) anche nella preparazione di dolci come il panettone, la colomba pasquale ed il pandoro, grazie alla sua capacità di lievitare impasti pesanti.
Nei lieviti chimici, al contrario, lo sviluppo di anidride carbonica non è dovuto al metabolismo di microrganismi bensì ad una reazione chimica, appunto, tra i suoi costituenti.
Questo lievito è utilizzato oltre che nei prodotti da forno (pane, pizza, taralli, etc.) anche nella preparazione di dolci come il panettone, la colomba pasquale ed il pandoro, grazie alla sua capacità di lievitare impasti pesanti.
Nei lieviti chimici, al contrario, lo sviluppo di anidride carbonica non è dovuto al metabolismo di microrganismi bensì ad una reazione chimica, appunto, tra i suoi costituenti.
Il lievito chimico più correttamente chiamato agente lievitante, è utilizzato nella preparazione di dolci; è in polvere e costituito da una base, un acido e un deumidificante per la conservazione. La base è generalmente rappresentata dal bicarbonato di sodio, indicato in etichetta con la sigla E500 conformemente al Regolamento CE1 129/2011 che modifica l'allegato II del regolamento CE 1333/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio istituendo un elenco dell'Unione di additivi alimentari; l’acido può essere il difosfato disodico (E450) o il cremor tartaro (E336), noto anche come bitartrato di potassio, un sale di potassio dell'acido tartarico, di origine naturale in quanto estratto dall’uva. Durante la lievitazione avviene una reazione chimica acido-base e il bicarbonato di sodio rilascia anidride carbonica che crea delle bolle nell’impasto. Come il lievito al cremor tartaro, anche il comune lievito per dolci è reperibile in commercio in bustine, tuttavia, a differenza del primo che, come già detto, è di origine vegetale, contiene additivi che possono essere di origine animale.
In generale, il lievito chimico, seppur più rapido da utilizzare, ha un’azione lievitante limitata, è insapore per cui si presta poco alla panificazione dove invece il sentore di alcol e acido lattico rappresentano requisiti essenziali. Questo tipo di lievito, inoltre, a differenza del lievito di birra e della pasta acida, non essendo protagonista di una vera e propria lievitazione, perché mancante di fermentazione microbica, non produce alcun effetto sull’intestino e sulla flora batterica.
Il lievito deve essere dunque scelto in base al piatto che si deve realizzare; il lievito madre o pasta acida è dunque da preferire al lievito di birra nella panificazione e prodotti a lunga lievitazione mentre nella preparazione di dolci una valida alternativa, al comune lievito in polvere, è il lievito al cremor tartaro perché di origine naturale. In generale, anche nel caso dei lieviti, vale la regola del buon senso, sarebbe comunque preferibile evitare il consumo quotidiano di prodotti lievitati per mantenere un certo equilibrio a livello del microbiota intestinale.
Serena De Palma
Master in “Sicurezza, certificazione e comunicazione alimentare” ed.8
Marina Coviello
Master in “Alimentazione e nutrizione umana” ed.19
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