
La loro lavorazione avviene impiegando le parti di scarto di altri alimenti come merluzzo, sgombro, suri, nemipteri e differenti specie di carpe asiatiche. La polpa impiegata per la produzione proviene da avanzi di altri processi di preparazione di alimenti tramite vari macchinari. Gli scarti vengono lavorati industrialmente, pressati e addizionati con sostanze chimiche di vario genere che permettono alla poltiglia ottenuta, di colore bianco, praticamente insapore, di acquisire un aspetto ed un gusto migliore. Per la conservazione, prima del congelamento vengono aggiunti sale, zuccheri e polifosfati. Nelle fasi successive il surimi viene addizionato con coloranti per ottenere le tipiche tonalità rosse o arancioni che ne caratterizzano la superficie esterna.

Ben poco da spartire, quindi, con la ricetta originaria giapponese molto semplice: un "battuto" (tritato a coltello) di polpa di merluzzo nordico Pollack cotto in acqua bollente (lessato), spianato e successivamente avvolto con alghe o altri vegetali. Anche il prezzo è solo all'apparenza economico e viene giustificato dal fatto che il surimi sembra perfetto per una cena estiva, si prepara in fretta e si consuma freddo. Peccato che con la stessa cifra si possa acquistare pesce pinnato, senz’altro più consigliabile per un'alimentazione sana e naturale. La praticità di consumazione e il gusto sono le bugie che ingannano il consumatore. La composizione reale dei surimi, infatti, resta tutt’oggi dubbia: non esistono al momento degli obblighi di legge che impongano l'indicazione in etichetta delle specie ittiche utilizzate per la produzione. Il tutto è nelle mani e nella serietà delle aziende produttrici che potrebbero impiegare materie prime di scarsa qualità, scadenti, o addirittura tossiche.
Elvira Tarsitano
Biologa, Esperta in Sicurezza alimentare
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